Report Consob: il 19% degli italiani investirebbe con equity crowdfunding

Il rapporto Consob sulle scelte d’investimento, mette in luce che sebbene l’equity crowdfunding sia poco conosciuto, la disposizione ad utilizzarlo per chi lo conosce è elevata

 

Consob report famiglie investimenti

Nei giorni scorsi, Consob ha presentato il nuovo Rapporto sulla scelta degli investimenti delle famiglie italiane. Per la prima volta, GFK Eurisko, autore del sondaggio, ha inserito alcune domande sulla propensione ad investire online in società non quotate e sulla conoscenza dell’equity crowdfunding.

La premessa, rilevata nella ricerca, è che per utilizzare strumenti online le persone dovrebbero essere dotate di un’adeguata cultura digitale. In realtà, si legge nel report, solo il 65% degli italiani sono definibili come “utenti internet” e la cultura digitale è elevata solo nel 30% dei casi.

Relativamente all’equity crowdfunding, emergono alcuni spunti degni di riflessione. In sintesi:

  1. Solo il 26% conosce l’equity crowdfunding, mentre il 74% non ne ha mai sentito parlare
  2. Il 58% non investirebbe online in società non quotate per paura di frodi
  3. Il 19% invece investirebbe. Quindi sembrerebbe che il 70% di coloro che conoscono il crowdfunding lo utilizzerebbero come forma di investimento
  4. Tra coloro interessati a investire online, quasi la metà (48%) investirebbe tra 1000 e 10k

Dai dati di Consob/Eurisko emerge, in prima battuta, quanto già si sapeva e cioè che il limite principale dell’equity crowdfunding è la sua scarsa conoscenza presso il pubblico degli investitori (il 74% non ne ha mai nemmeno sentito parlare). E’ tuttavia drammatico il substrato strutturale: il potenziale è limitato a chi ha un’elevata cultura digitale che corrisponde solo al 30% degli italiani. Diciamo 15-18 milioni di individui, che non sono comunque pochissimi.

Al di là dei limiti strutturali, ci pare evidente che gli stakeholder non abbiano quindi ancora fatto abbastanza per diffondere la conoscenza dello strumento, evidenza corroborata anche dal fatto che il 58% non investirebbe mai per paura di frodi (sappiamo bene invece che la frodi online relative all’ECF, nel mondo, sono statisticamente nulle).

Dunque, informare, informare, informare.

Ma, dal rapporto, emerge anche un altro dato molto interessante: la potenzialità del mercato è elevatissima. La percentuale di chi conosce l’equity crowdfunding e quella di chi è disposto a investire in società non quotate è quasi sovrapponibile (per il 70% circa). Anche se non si tratterebbe di un rapporto lineare, è molto probabile che se aumentasse radicalmente la conoscenza dello strumento, dall’attuale migliaio di individui che hanno investito nelle campagne presentate fino ad ora si potrebbe arrivare a decine o centinaia di migliaia.

Tuttavia, ci balza all’occhio una discrasia: il 19% relativo a chi è disposto ad investire corrisponde a più di 10 milioni italiani, mentre quelli che hanno realmente investito dal 2013 ad oggi sono, appunto, poco più di un migliaio. E perché tutti gli altri milioni non hanno investito?

Non c’è di sicuro una risposta univoca. Possiamo però fare alcune ipotesi che, probabilmente, sono cause concomitanti.

  • I modelli di business presentati (quelli relativi a startup innovative) non sono comprensibili alla maggioranza dei potenziali investitori. Una catena di ristoranti o un immobile lo sarebbero certamente molto di più. Bisognerebbe dunque allargare la base di aziende che possono ricorrere all’ECF
  • Molte delle società che hanno lanciato una campagna non hanno obiettivamente spiegato bene il proprio prodotto, i propri punti di forza rispetto ad un mercato di riferimento ben inquadrato, le modalità con cui ritengono di essere vincenti nel vendere il prodotto/servizio, le modalità e i tempi con cui, potenzialmente, un investitore maturerebbe il proprio guadagno. In altri termini, molte società hanno diligentemente predisposto un business plan, ma l’hanno presentato male.
  • Non mi pare che fino ad ora, tranne qualche lodevole eccezione, ci siano stati grandi investimenti da parte delle piattaforme nel promuovere le proprie campagne. E’ quindi probabile che molti potenziali investitori non sapessero nemmeno che l’investimento dei suoi sogni fosse a portata di click
  • Il numero di campagne concomitanti presenti sulle piattaforme è tendenzialmente molto basso, una o due campagne al massimo (tranne qualche eccezione). Ora, chi investe ha da un lato bisogno di diversificare i propri investimenti a rischio su più società, nessuno fa all-in su una sola campagna. Dall’altro lato chi investe potrebbe avere competenze per un settore specifico o non essere banalmente convinto dalle poche offerte presenti su una piattaforma. Se non trova alternative, quindi, abbandona.

Un commento:

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