Il Libro Bianco per le Startup è tanta roba. Una lettura per i non addetti

Appena presentato, il Libro Bianco per Startup rivolto al Governo, è un documento di grande impatto per tutta l’economia italiana. F. Allegreni ne spiega la portata ai non addetti

 

LIbro Bianco startup digital magics

Cosa può fare il Governo per sostenere lo sviluppo delle start-up e delle PMI e, dunque, la crescita del Paese?

E’ questa in fondo la domanda cui il “Libro Bianco”, presentato nei giorni scorsi da Digital Magics e dal suo presidente Enrico Gasperini, prova a dare un’articolata ed esaustiva risposta.

Per fortuna, la stampa ha dato un buon risalto all’iniziativa riportando ampiamente il comunicato che ben sintetizza il senso della proposta. Per chi non l’avesse già letto sugli organi di stampa consigliamo la sua lettura che è un’ottima sintesi del Libro Bianco (qui invece il testo completo).

Tuttavia, per chi non mangia pane, startup e venture capital a colazione, potrebbe non essere semplicissimo afferrarne le maggiori implicazioni. Vorremmo qui provare a darne una nostra lettura.

L’assunto generale è che le nuove imprese o quelle che si danno da fare per innovare (e non solo tecnologicamente) sono l’anima dell’economia italiana e lo sono sempre state. Ora si chiamano startup e PMI innovative. Se intorno a loro c’è un sistema pensato strategicamente per sostenerle (eco-sistema), il risultato è che il genio italico trova terreno fertile e può generare direttamente redditi e occupazione, e, indirettamente (cioè facendo da volano), altri redditi e altra occupazione. L’effetto indotto è che se aumentano redditi e occupazione, aumenta anche il gettito fiscale, senza però aumentare tasse e balzelli, anzi riducendoli. Macroeconomia spicciola.

Detto ciò, è inevitabile che chi vuole innovare e/o crescere ha bisogno di benzina, cioè danari. Le banche non ne danno più da mo’ e lo Stato ne ha bisogno lui.

Quindi?

Quindi ci sono i privati, che in Italia hanno una delle propensioni al risparmio più alte d’Europa e che però mettono i soldi sotto il materasso. La Banca d’Italia dice che i soldi delle famiglie investiti in attività finanziarie ammontano a 3.600 miliardi di euro (su 9.600 totali, quasi 6 volte il PIL), ma di questi un’inezia è investito in economia reale e in capitale di rischio, proprio quello che servirebbe invece alle nostre startup e PMI. Semplificando, si mette tutto in BOT e CCT. Ma anche quelli che investono a livello professionale sono pochissimi: 0,002% del PIL contro lo 0.024% (12 volte meno!) della media europea.

Perché? Molto probabilmente perché la gente a) non sa b) non si fida c) è-troppo-rischioso-chi-me-lo-fare.

Bisogna dire che lo Stato (governo e regioni in primis) molti passi li ha fatti negli ultimi 3-4 anni, ma sono stati passi o timidi o, quand’anche coraggiosi, in ordine sparso. Il Libro Bianco lo rileva e vuole suggerire modi concreti di fare un salto in avanti e, soprattutto, modi che siano stabiliti in base a una visione strategica di lungo periodo chiara, dalla quale consegue un ruolo di vera e propria regia che finora è un po’ mancato.

Tutti i punti del Libro Bianco sono rilevanti, ma ne scelgo solo alcuni cui sono più sensibile.

  • Aumento dei benefici fiscali al 30/40% per chi investe in startup e PMI innovative. Ora è 19% per le persone fisiche e 20 per le giuridiche. In UK si parte dal 30% per investimenti fino a 1 milione e addirittura al 50% per quelli fino a 100.000. Significa dire: investi nelle imprese, il rischio dell’investimento te lo riduco io Stato facendoti detrarre dalle imposte una parte non irrisoria di quello che hai investito. Be’, un bell’incentivo a togliere almeno una parte dei soldi dal materasso no?
  • Come sottolineiamo quasi quotidianamente su queste pagine, l’equity crowdfunding non è ancora decollato solo in Italia. Nel resto d’Europa sì. La vera differenza la fanno non la qualità delle startup presentate nè quella delle piattaforme. La fanno i lacciuoli imposti a chi vorrebbe investire che, in Italia, lo rendono un’impresa titanica. Non parlo dei dettagli perché le proposte del Libro Bianco coincidono con quelle di cui abbiamo parlato noi qui e l’AIEC qui.
  • Se io da solo come investitore non so valutare una startup come faccio a investire? In Italia non posso (a meno che non sia molto ma molto ricco e possa sottoscrivere una quota in un Venture Capital). Gli Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR) – che gestiscono p.es. i fondi comuni di investimento – potrebbero essere il veicolo adatto in quanto potrebbero allocare alle startup un piccola quota del patrimonio gestito, piccola in % ma di fatto elevata in valore assoluto. Così io metto lì un po’ di risparmi sapendo che una parte verrà investita in piccole imprese innovative. Ma i limiti posti agli OICR non lo consentono. Bisogna rimuoverli.
  • Oppure, anche si può fare in modo, attraverso appositi incentivi fiscali e normativi, di creare dei fondi aperti ad hoc, “specializzati” nell’investire in imprese innovative, che potrebbero essere il terminale su cui far confluire una parte dei capitali gestiti dall’industria del risparmio. Se fosse anche solo lo 0.05% parleremmo di 1 miliardo di euro a disposizione delle imprese innovative.

Anche gli altri punti che non ho evidenziato, ripeto, sono tutti comunque estremamente interessanti e utili. Mi sento però di mettere sul tavolo un paio di aspetti che, invece, sono forse stati trascurati.

  1. Settori non digitali. Il Libro Bianco, molto probabilmente per l’orientamento di business del suo promotore Digital Magics, si è focalizzato quasi esclusivamente sul “digitale”. Ma l’Italia ha due asset che, indipendente dal digitale, le imprese e anche le PA italiane dovrebbero essere incentivate a trattare: turismo, beni culturali e gastronomia. Qui ci sono opportunità gigantesche, non tanto, forse, nell’ottica di un venture capital che in 3 anni vuole quintuplicare o decuplicare il valore dell’equity. Ma certamente interessanti nell’ottica di un normale investitore cui potrebbe essere sufficiente ricevere dividendi a fronte di modelli di business facili da comprendere e con grandi opportunità di redditività.
  2. Reti d’Impresa. La Rete d’impresa è un giovanissimo (2010) istituto giuridico che consente alle imprese di collaborare tra loro in funzione di obiettivi comuni senza perdere la propria indentità. Nel Paese più individualista del mondo, grazie anche alla spinta della crisi, le reti stanno avendo un successo clamoroso. Nel documento non vengono punto considerate. Invece, in un contesto costituito da un lato da nano-imprese quali sono le startup e dall’altro dalle PMI, questa potrebbe essere la formula per alimentare collaborazioni efficaci tra più imprese, superamento del nanismo e, dunque, anche una progettualità e una capacità di crescita, soprattutto internazionale molto interessante anche per gli investitori.

Da ultimo, segnaliamo il pool di professionisti di elevatissima qualità che ha collaborato alla stesura del Libro Bianco:

Paolo Zanetto – Cattaneo Zanetto & Co
Giovanni De Caro
Giangiacomo Olivi – DLA Piper
Simone Strocchi – Electa Group
Fabrizio Barini – Intermonte
Cesare Valli – SEC relazioni pubbliche e istituzionali
Antonio Tognoli – Integrae Sim
Davide Dattoli – Talent Garden (TAG)
Claudio Berretti – T.I.P. Tamburi Investment Partner.

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