Luci e ombre del nuovo regolamento europeo su equity e lending crowdfunding

Un regolamento europeo che consenta investimenti cross-border è certamente una grande opportunità. Ma quello appena approvato è veramente in grado di mantenere le promesse?

 

Regolamento UE crowdfunding luci e ombre

 

Lo scorso 5 Ottobre, il Parlamento Europeo ha approvato il regolamento sul crowdfunding che, il 20 ottobre, è stato poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale UE. Le norme entreranno in vigore entro il 10 novembre 2021, dopo che l’ESMA (l’ente governativo UE che si occupa di mercati finanziari) avrà redatto e approvato una lunga lista di regole tecniche che ancora mancano. In più, le autorità locali, avranno un ulteriore anno di tempo (periodo di transizione) e quindi fino al 10 Novembre 2022, per consentire alle piattaforme precedentemente autorizzate di adeguarsi alle nuove norme.

L’obiettivo del governo UE è sacrosanto e ampiamente dichiarato: preso atto che equity e lending crowdfunding (che noi, con il Politenico di Milano, chiamiamo “Crowdinvesting”) sono strumenti ormai estremamente diffusi in tutti i paesi europei, diventa rilevante consentire alle piattaforme di operare in qualunque paese e a chi vuole investire di poterlo fare in Startup e PMI da qualunque paese provengano.

Invece, fino ad ora, ogni paese ha un proprio regolamento locale per autorizzare le piattaforme ad operare, gli investitori a investire e le società a raccogliere. Le differenze sono tali che rendono difficile e spesso impossibile consentire investimenti e raccolte di capitali “transfrontalieri”.

Ma già su questo primo punto credo sia opportuno distinguere tra equity e lending crowdfunding: mentre le considerazioni di cui sopra calzano piuttosto bene per l’equity crowdfunding, non mi pare sia del tutto vero per il lending.

Lending crowdfunding

Infatti, per quanto riguarda i prestiti peer to peer alle aziende (il regolamento esclude i prestiti ai privati), esistono già da tempo diverse piattaforme che operano in più di un paese, sia in termini di provenienza delle aziende, sia di cittadinanza degli investitori. E’ il caso, per esempio, di October, società francese che opera anche in Italia, Spagna, Portogallo e Olanda, oppure di Crowdestate, società estone che presenta operazioni immobiliari di svariati paesi tra cui l’Italia, oppure ancora di Housers, piattaforma di real estate spagnola, che opera anche in Italia e in Portogallo.

E’ vero che queste tipo di piattaforme, in alcuni paesi come Francia e Spagna devono essere autorizzate, mentre in altri no, come in Italia. Ma la raccolta e gli investimenti, evidentemente, non sono vincolati al paese di autorizzazione.

Dunque, siamo sicuri che il regolamento europeo aggiunga effettivo valore alle piattaforme di lending crowdfunding e agli investitori europei?

D’altra parte, è anche vero che le differenze di regolamentazione tra paese e paese in UE possa favorire o sfavorire le piattaforme in base al proprio paese di provenienza. E, parimenti, in base alla provenienza, potrebbero essere tutelati in materia difforme gli investitori che prestano il proprio denaro sulla medesima piattaforma.

Quindi, da questo punto di visto, è complessivamente un bene che ci sia uniformità.

Tuttavia, è chiaro che le piattaforme di lending che operano in mancanza di un regime regolamentare, come quelle italiane, per continuare ad operare dovranno sottoporsi alla procedura europea. E, forse, non per tutte sarà uno sforzo sostenibile.

Un aspetto decisamente positivo per le piattaforme di lending (e per gli investitori) che il nuovo regolamento introduce è la possibilità di offrire “servizi di gestione individuale di portafogli di prestiti”. La possibilità cioè per l’investitore di definire un budget che verrà poi allocato dalla piattaforma su più opportunità in base al profilo di rischio indicato dall’investitore. E’ il modello di Borsadelcredito.it che in Italia è possibile solo con l’autorizzazione ad operare come intermediario finanziario.

Infine, va considerato che, al contrario di quanto accade ora in tutta Europa, anche le piattaforme di lending dovranno distinguere tra investitori sofisticati e non sofisticati, sottoponendo questi ultimi al test di appropriatezza Mifid ed altri test ancora più invasivi che ho riportato più sotto.

Equity crowdfunding

Per le imprese che lanciano campagne di equity crowdfunding, poter raccogliere da investitori in tutti i Paesi europei è certamente un grande vantaggio.

Ad oggi, peraltro, vi erano di fatto pochi impedimenti per un investitore italiano a puntare su una società presentata su una piattaforma spagnola, tedesca o finlandese. La lingua non è necessariamente un problema perché molte piattaforme straniere sono anche in inglese. E anche legalmente, se l’investitore non è stato “sollecitato” dalla piattaforma o dall’offerente, può tranquillamente investire.

Dove stanno, quindi i vantaggi del nuovo regolamento pan-europeo, dal punto di vista italiano?

  • La piattaforma (e l’offerente) potranno promuovere la raccolta in altri paesi, “sollecitando” direttamente le persone ad investire.
  • Gli investitori sono più tutelati. Essendo le regole comuni a tutti i paesi, chi investe saprà che il modo in cui viene profilata la sua capacità di investire, le informazioni che gli vengono fornite e i suoi diritti saranno uniformi in tutti i paesi UE. E non dovrà preoccuparsi quindi di leggere dettagli in una lingua che magari non padroneggia.
  • Non sarà più necessario l’investimento pari al 5% (o al 3% in caso di PMI non innovative) da parte di investitori professionali, rendendo così più fluida la raccolta.
  • Le piattaforme possono anche svolgere attività diverse da quelle coperte dall’autorizzazione. Quindi si presume possano anche effettuare per esempio consulenze, al contrario di quanto previsto dall’attuale regolamento italiano.
  • La definizione di investitore sofisticato è più ampia rispetto a quella definita dal regolamento italiano. Infatti, basta che la persona fisica soddisfi 2 di questi criteri: un reddito annuale di almeno 60 mila euro o un portafoglio finanziario (inclusi i depositi) maggiore di 100 mila euro; che abbia lavorato nel settore finanziario per almeno 1 anno; che abbia effettuato almeno 10 operazioni finanziarie “significative” al trimetre, per i quattro trimestri precedenti. Per una società basta uno di questi criteri: fondi propri pari almeno a 100 000 EUR; fatturato netto pari almeno a 2 000 000 EUR; bilancio pari almeno a 1 000 000 EUR.
  • Le piattaforme italiane hanno già implementato la Mifid online che il regolamento UE prevede espressamente e questo potrebbe essere un vantaggio competitivo iniziale rispetto ad altri paesi nei quali non è previsto. E’ tuttavia un vantaggio labile, in quanto è previsto che il questionario sarà definito dall’ESMA e sarà dunque uguale per tutti. Altro piccolo vantaggio è che la risposta al questionario avrà validità per 2 anni (in Italia ora è per 1 anno).

Tuttavia, a mio parere, quantomeno per le piattaforme italiane, sono da considerare alcuni potenziali svantaggi:

  • Il limite massimo di raccolta sarà di 5 milioni rispetto agli attuali 8 del regolamento italiano. E’ vero che per ora sono state soltanto due le campagne che hanno raccolto oltre questo limite, ma non possiamo escludere che la frequenza potrà o avrebbe potuto aumentare in futuro.
  • Non potranno lanciare campagne di raccolta le società investimento che investono prevalentemente in startup o PMI innovative, cosa che, invece, è attualmente possibile in Italia. Anzi, quest’anno fino ad ora, sono state 8 le società di questo tipo che hanno condotto a termine con successo campagne di equity crowdfunding, per una raccolta complessiva di 13 milioni, pari al 20% del totale (e stimiamo che, considerando le campagne in corso, la raccolta a fine anno potrebbe superare i 20 milioni)
  • Le piattaforme, per poter operare in nuovo paese, dovranno comunque essere autorizzate a farlo, quantomeno dovranno dichiarare paese per paese dove vorranno operare e dimostrare che il sito presenti una versione in una lingua ufficiale dei paesi scelti. Un passaggio burocratico in più che rende farraginoso il processo di espansione transfrontaliera e che non tiene conto della valenza della lingua franca per eccellenza: l’inglese.
  • Invasività delle informazioni richieste all’investitore. Per gli investitori “non sofisticati”, soggetti al questionario Mifid di appropriatezza, il regolamento prevede che l’investitore dichiari il proprio patrimonio netto (reddito, investimenti e prestiti ricevuti) in modo da poterne calcolare il 10% quale misura massima dell’entità dell’investimento. La piattaforma dovrà richiedere queste informazione, salvarle e utilizzarle inviando notifiche di alert ogni volta che l’investitore tenta di investire più di 1000 euro o il 5% del proprio patrimonio netto. Credo che questo scoraggerà la quasi totalità degli investitori non sofisticati!

Punti oscuri

A una lettura di chi come me non è un legale, il regolamento presenta alcuni punti non chiarissimi.

  • L’articolo 4, dedicato in generale alla “Gestione efficace e prudente”, cita, al comma 4, l’obbligo per la piattaforma che “stabilisca il prezzo di un’offerta di crowdfunding”. Non è chiarissimo cosa si intenda per prezzo, soprattutto in riferimento all’offerta di valori mobiliari (equity crowdfunding): è il valore aziendale? E sì, quali strumenti la piattaforma potrebbe utilizzare per affermare che un valore e più corretto di un altro?
  • Sempre nello stesso articolo e comma, si parla di obbligo per la piattaforma di effettuare “una ragionevole valutazione del rischio di credito del progetto di crowdfunding o del titolare del progetto”. Vale solo per i prestiti o anche per l’equity? In quest’ultimo caso, oltre ad appesantire notevolmente il deal-flow (e quindi i costi per la piattaforma), non si capisce come questa norma dia a valore aggiunto a chi investe per esempio in startup che hanno, per definizione, un rischio di credito altissimo.

Dubbi e osservazioni generali

Infine, voglio sottolineare alcuni punti di attenzione che hanno o potrebbero generare difficoltà più o meno gravi nell’implementazione del regolamento.

  • Minibond. Come verrà gestita, per le piattaforme di equity italiane, l’autorizzazione faticosamente ottenuta per collocare minibond, rispetto a quella più generale di concedere prestiti, prevista dal regolamento UE?
  • Durata del processo di autorizzazione. Il processo di autorizzazione è piuttosto lungo e articolato: 25 gg lavorativi per accettare la domanda verificandone la completezza + 3 mesi per esprimere se autorizzare o no +3 gg lavorativi per comunicarlo al richiedente. Dunque in totale, circa 4 mesi solari. Considerando però che i termini per accettare la domanda (i 25gg) possono essere interrotti per richieste di integrazione, fissando nuove scadenze, è possibile che i tempi reali siano di 5 se non di 6 mesi.
  • Complessità del processo di autorizzazione ad operare “cross-border”. La piattaforma che vuole operare in uno stato UE, deve non solo richiedere l’autorizzazione a farlo, ma deve anche indicare l’identità della persona (o della società) che si occuperà di gestire le offerte dirette a quel paese e la data d’inizio in cui la piattaforma intende iniziare ad operare. Non solo, ma l’autorità competente deve inoltrare tale richiesta all’ESMA e ha 10 giorni per farlo. Dopodiché l’autorità che ha accolto la domanda ne conferma l’approvazione alla piattaforma “senza indugio” (qualunque cosa voglia dire in termini di tempo…)
  • Marketing. Ogni paese ha le proprie norme per regolare la comunicazione di offerte finanziarie e alcuni non ne hanno proprio. Il regolamento UE ha dovuto tener conto di queste differenze demandando di fatto ai singoli paesi l’onere di dichiarare cosa si può e non si può fare nel loro territorio in termini di comunicazione. Soluzione certamente frutto di un compromesso, ma che renderà difficilissima la vita alle piattaforme che vogliono operare a livello europeo (e che probabilmente sottolinea una volta di più quanto poco unita sia l’Europa).
  • Codice fiscale per la registrazione sul registro imprese. Il MISE e il sistema camerale dovranno finalmente dar seguito a quanto previsto dalla legge di bilancio 2018 in base alla quale l’investitore straniero non deve più dotarsi di un codice fiscale italiano per poter essere registrato come socio in una società. Tale norma è stata ad oggi totalmente disattesa impedendo così a investitori stranieri di investire senza problemi in una startup a PMI italiana che avessero lanciato una campagna di equity crowdfunding.