Non è vero che gli Italiani non investono capitali di rischio in Startup

Bidtotrip, startup italiana, ha raccolto quasi £150k sulla piattaforma UK Seedrs: più della metà grazie a investimenti di Italiani

 

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Bidtotrip è una startup di Cesena che, poco più di un anno fa, ha lanciato in Italia e in UK il primo sito di aste online dedicate a viaggi e vacanze di lusso. Ora si prepara a varcare i confini di altri mercati europei, grazie anche ad una campagna di equity crowdfunding sulla piattaforma inglese Seedrs con la quale ha raccolto quasi 150mila sterline doppiando l’obiettivo iniziale fissato a 75mila, a fronte di quote pari al 10,86% (valutazione pre-money di £1,2 milioni).

L’idea è di un giovane trio, Sara Brunelli, Chiara Fusaroli e Augusto Grandi, i quali sono partiti dalla constatazione che oltre un milione di posti letto in hotel di lusso ogni giorno restano invenduti a causa del loro prezzo elevato. Incubata da CesenaLab, fondato nel 2013 dal campus cesenate dell’Università di Bologna, Bidtotrip conta già 15mila iscritti: l’80% sono italiani, il 20% inglesi.

Il funzionamento è semplice ma geniale. L’utente sceglie una meta preferita tra quelle disponibili, che provengono da convenzioni con circa 300 hotel a 4 o 5 stelle convenzionati tra Italia e grandi capitali europee. Al raggiungimento del numero di iscrizioni richieste, si attiva un’asta al rialzo, per partecipare alla quale occorre spendere mediamente 500 “crediti”, per un controvalore di circa 5 euro, preventivamente acquistati sul sito. Aggiudicarsi un’asta consente di risparmiare dal 50% fino al 98% del prezzo normale.

Poiché in Italia si dibatte molto sulla presunta scarsa propensione ad investire in capitali di rischio, abbiamo provato ad analizzare il profilo degli investitori che, utilizzando una piattaforma non italiana, hanno contribuito a finanziare Bidtotrip.

I risultati della nostra analisi sono molto interessanti e dimostrano, una volta di più, che:

  1. Gli Italiani investono in startup, se solo ne hanno l’opportunità
  2. L’entità media del loro investimento è molto superiore a alla soglia di 500€ stabilita da Consob per l’equity crowdfunding in Italia

Emerge, infatti, che su £146.000 raccolte, il 55%, cioè £80.400, sono state investite da 30 Italiani sui 133 investitori totali. Gli altri sono 66 britannici e 37 di altri 18 paesi europei.

In generale, l’investimento medio è stato di 1.100 sterline, ma l’investimento medio degli Italiani è stato di 2.680.

Se però osserviamo la composizione degli investitori italiani, notiamo che uno di questi è l’organo inglese di un Family Office bolognese, che è anche il maggiore investitore del deal con £50.000. Gli altri 29 Italiani hanno dunque investito complessivamente £30.400 e quindi mediamente £1.050 a testa. In linea con l’investimento medio complessivo.

Ancora più interessante però è analizzare i 29 investitori secondo i parametri di Consob. Scopriamo che chi ha investito più di €500 (la soglia imposta da Consob oltre la quale scatta l’obbligo di compilare il formulario Mifid) sono 13: hanno investito £28.540, cioè circa €40.000, e quindi, in media, l’equivalente di circa €3.000 a testa.

Per la cronaca, gli italiani che, invece, hanno investito meno di €500 sono 16, con un investimento medio di €163 a testa. Facendo un paragone con gli investitori UK, che in totale sono stati 66, scopriamo che solo 9 avrebbero superato la soglia Mifid in Italia, ma investendo in media molto di più degli omologhi Italiani: €7.700 a testa. Gli altri 57 britannici, quelli sotto i 500 euro, hanno invece investito in media molto meno degli equivalenti italiani: solo €92 a testa.

A nostro parere, quest’ultima parte della nostra analisi dimostra che un sistema fluido come quello permesso alle piattaforme inglesi consente di attrarre investitori non solo da UK, ma anche da altri Paesi europei. Molti di coloro che hanno investito cifre irrisorie, l’hanno fatto probabilmente non per fini speculativi, ma solo per vedere “come funziona”. Altri, per esempio i 13 Italiani che hanno investito in media €3.000, invece, ci hanno creduto e hanno fatto un vero e proprio investimento.

A parti invertite, un investitore inglese che volesse investire in una startup presentata da una piattaforma italiana, semplicemente non potrebbe farlo. Non perché sia vietato, ma perché i vincoli burocratici posti in Italia sono tali da rendergli praticamente impossibile versare i suoi fondi.

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