Nell’emergenza Coronavirus occorre ancora di più liberare risorse private per gli investimenti nelle PMI

In un’intervista a BeBeez, Anna Gervasoni, direttore generale di AIFI invita il Governo a valutare le proposte sottoposte già da parecchi mesi per inidirizzare capitali privati alle PMI

 

AIFI suggerisce soluzioni per facilitare investimenti privati nelle PMI

 

In un’intervista a BeBeez e MF Milano Finanza, Anna Gervasoni, direttore generale di AIFI, l’Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt, suggerisce al Governo e al Parlamento di valutare una serie di richieste sottoposte negli ultimi mesi dal mondo del private capital, che avrebbero l’effetto ultimo di liberare nuove risorse, a costo zero per lo Stato, da investire nell’economia reale italiana, in un momento in cui ce n’è molto più bisogno di prima.

Accesso ai prodotti di private capital da parte degli investitori privati non professionali

Il private banking in Italia ha in gestione 844 miliardi di euro, contro i 750 miliardi delle compagnie di assicurazione e i 250 miliardi di fondi pensione e casse private, ma del monte di capitali del private banking soltanto 3,9 miliardi sono investiti nei private market, cioé lo 0,25% del totale, contro circa l’1% dei capitali in gestione ad assicurazioni e fondi pensione. Il calcolo è di AIPB, l’Associazione Italiana del Private Banking, che dice anche che di quei 3,9 miliardi, soltanto 1,7 miliardi sono investiti in private asset italiani.

Sul tema ci sono due proposte.

In primo luogo, il governo aveva introdotto per il 2020 anche per gli Eltif (European Long Term Investment Funds), così come per i Pir, un incentivo fiscale nella forma di detassazione dei capital gain per le persone fisiche che sottoscrivono Eltif . “Purtroppo, però, a oggi l’applicazione di questa norma non è possibile, perché sino a poche settimane fa non era stata fatta formalmente la richiesta (notifica) alla Commissione europea, per accertarsi che non venga considerata un aiuto di Stato. Al momento c’è un dialogo aperto e quindi speriamo che la questione si risolva a breve”, ha spiegato Gervasoni, che peraltro auspica che la norma venga riproposta anche per il 2021. Se la norma diventasse operativa, quindi, una maggiore quantità di risparmio si potrebbe convogliare in investimenti illiquidi a supporto delle pmi italiane.

Collegato a questo punto c’è quello della soglia minima di investimento in fondi alternativi riservati. Questi ultimi, a differenza degli Eltif, non devono seguire criteri precisi nelle loro politiche di investimento e per questo sono considerati più rischiosi, con la conseguenza che sono appunto riservati a certe categorie di investitori. “Oggi il ticket minimo di investimento previsto per questi fondi è di 500 mila euro, ma questa cifra non è scritta da nessuna parte a livello di normativa europea. E’ stata una scelta puramente italiana, che quindi potrebbe essere modificata senza nemmeno un provvedimento di legge, ma un semplice intervento ministeriale”, afferma Gervasoni, sottolineando che se per esempio la soglia in questione fosse portata a 100 o 200 mila euro, ferma restando la quota del 10% del patrimonio complessivo investibile in asset illiquidi per i clienti private, allora chiunque avesse presso un private banking 2 milioni di euro di asset in gestione, potrebbe investire i suoi 200 mila euro in private asset e si sbloccherebbe a favore del private capital un enorme mole di risparmio. In alternativa, “si potrebbe immaginare di creare, ai fini dell’investimento in fondi riservati, una nuova categoria di investitori che si trovi tra i privati e i professionali, così come già fatto da Consob ai fini degli investimenti in minibond offerti sulle piattaforme di equity crowdfunding nella sua ultima revisione del Regolamento sulle piattaforme di crowdfunding”.

Venture Capital

La normativa aveva previsto l’innalzamento dal 30% al 40% della detrazione e deduzione fiscale per i sottoscrittori di fondi di venture capital, a seconda che fossero persone fisiche o giuridiche. “Anche in questo caso, come nel caso degli incentivi fiscali per i sottoscrittori di Eltif, l’intervento non è mai stato notificato a livello comunitario. Ma qui la questione è ancora più grave, perché con i funzionari Ue si era aperto un dialogo tempo fa, ma poi quel dialogo si è interrotto”, ha sottolineato il direttore di Aifi, con la conseguenza che la previsione normativa è rimasta lettera morta.

Ma oltre al risparmio privato c’è anche il capitale del mondo previdenziale che potrebbe essere convogliato su investimenti in economia reale. A oggi soltanto una piccola frazione di quel capitale viene investito in private asset. Un strumento che certamente è ben visto da fondi pensione e casse di previdenza è quello del credito di imposta. “In sostanza, si chiede di introdurre anche per il risparmio previdenziale gestito da investitori istituzionali forme di deduzione d’imposta per una quota degli investimenti effettuati in economia reale, per ridurre lo svantaggio di questi investitori che subiscono una tassazione sulle plusvalenze ancorché non realizzate”, ha detto Gervasoni, che sempre in tema di fondi pensione e casse ha anche ricordato che “non si capisce come mai non sia stato esteso anche al private debt l’incentivo fiscale previsto per fondi pensione e casse nella forma di detassazione dei capital gain”.

Private Equity e Banche

Una sentenza della Corte di Cassazione nel marzo 2019 ha contestato l’utilizzo delle cosiddette “fronting structure” in un’operazione di credito al consumo che coinvolgeva una banca di San Marino, ma lo ha fatto in un modo che finisce per coinvolgere in generale tutte le strutture fronted utilizzate nelle operazioni di leveraged buyout. In una tipica struttura fronted, la banca italiana concede il finanziamento e simultaneamente entra in accordi con una serie di investitori in modo da ricevere una provvista finanziaria e da impegnarsi a restituire tale provvista e a pagare gli interessi periodici in relazione alla medesima solo nei limiti di quanto la banca ha ricevuto dal debitore. Queste strutture erano considerate fiscalmente trasparenti, fino alla sentenza della Cassazione di cui sopra, che ha invece stabilito che quella struttura costituiva un esercizio abusivo di attività finanziaria da parte della banca di San Marino, che di fatto erogava finanziamenti in Italia. “E’ necessario a questo punto un qualche pronunciamento normativo che precisi i casi in cui queste strutture sono ammesse e quando no”, ha spiegato Gervasoni.

Conclusioni

I temi da affrontare sono tanti. Ma non si tratta di semplici richieste di settore, si tratta di misure che possono portare molto più denaro alle piccole e medie imprese. Che ora più che mai ne hanno bisogno.

 

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