Investimenti in startup italiane: bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno?

133 milioni investiti in startup, esattamente quanti ne ha raccolti il solo crowdfunding francese nel I semestre 2015. Ma il bicchiere può essere visto anche mezzo pieno

 

osservatorio startup digitali 2015

Nel corso di SMAU 2015, che si è concluso lo scorso venerdì 23 Ottobre, l’Osservatorio del Politecnico di Milano sulle Startup Hi-Tech ha rilasciato per il terzo anno i dati relativi allo stato delle startup in Italia.

Il dato riportato da varie testate in toni spesso trionfalistici è che gli investimenti sono aumentati a €133 milioni, dai 120 del 2014 (qui sotto l’infografica completa).

In realtà, invece, non una grande performance. Marco Bicocchi Pichi, presidente di ItaliaStartup, infatti, ha dichiarato a EconomyUp: “Parliamoci chiaro: sono numeri ridicoli per un Paese come l’Italia. Possiamo essere paragonati alla Slovacchia o alla Polonia e invece dovremmo competere con Paesi come la Francia e la Germania. Persino la Spagna fa meglio di noi. È necessario il contributo di tutti per far tornare ad essere l’Italia per quello che è: un Paese leader”.

E come dargli torto? Tanto per fare un paragone, in Francia e Germania si investe in startup 10 volte tanto e, proprio qualche giorno fa, su Crowdfunding Buzz abbiamo pubblicato le performance del crowdfunding in Francia nel I semestre 2015: casualmente sono stati raccolti proprio €133 milioni!

Ma come, in Francia si raccolgono 133 milioni in sei mesi con il crowdfunding (incluso il lending, intendiamoci) e in Italia, in 1 anno, lo stesso con i Venture Capital? C’è da spararsi.

C’è però un altro dato da considerare. Se le startup finanziate, in 3 anni, sono state solo 230, quelle registrate ufficialmente nel registro delle startup innovative sono quasi 5.000, oltretutto in grande crescita. Quindi vuol dire che il fermento, la base, c’è.

Per quanto riguarda gli investitori, abbiamo scritto qualche tempo fa che, potenzialmente, c’è anche il patrimonio da investire: se le più di 600 mila famiglie con patrimonio finanziario superiore a €500k ne destinassero anche solo il 5% ad investimenti illiquidi e a rischio, i fondi disponibili potrebbero essere circa €50 miliardi.

E quindi, teoricamente, ci sono anche i soldi.

Cosa manca allora? A mio modestissimo parere, a grandi linee, tre cose.

  • Strumenti di investimento. Non so esattamente quanti siano i VC italiani che investono in starutp, ma credo meno di una ventina. E d’altra parte non possiamo delegare tutto ai VC. Per intercettare i capitali di cui sopra, bisogna estendere gli strumenti a disposizione degli investitori, facendo in modo che i nuovi progetti (di startup e PMI) costituiscano un’asset class specifica che venga recepita come tale dagli intermediari finanziari. L’equity crowdfunding è uno dei mezzi possibili, ma i lacciuoli del regolamento Consob, che penalizza fortemente l’accessibilità allo strumento da parte degli investitori, ne sta bloccando lo sviluppo. In generale, qui bisogna coinvolgere le istituzioni e sensibilizzarle, come, per esempio, nel caso del Libro Bianco sulle Startup.
  • Cultura imprenditoriale. E qui non parlo tanto degli imprenditori. Quanto di chi imprenditore non è e che, per la nostra inveterata e sedimentata cultura catto-comunista, vede, più o meno consciamente, chi cerca di fare soldi attraverso l’investimento di capitali, come minimo come un potenziale ladro. Se ha successo, e quindi guadagna, sicuramente ha giocato sporco e/o ha avuto delle spintarelle. In questo anche i media hanno una certa responsabilità ed è da lì che ci si dovrebbe muovere per far cambiare questa cultura. A onor del vero, mi pare che le nuove generazioni abbiano già intrapreso questa strada, ma chi ha più soldi da investire sono quelli dai 50 anni in su ed è loro che bisogna convincere. Direi, soprattutto, a mezzo stampa.
  • Cultura del business plan. Nel mio lavoro di progetti di startup ne vedo molti e chi ne vede molti più di me, dice la stessa cosa: molto spesso ci sono buone idee, ma presentate in modo incompleto e comunque non tale da far capire ad un potenziale investitore perché dovrebbe rischiare i suoi soldi su quel business. Lo sforzo dell’imprenditore dovrebbe essere quello di mettersi nei panni dell’investitore chiedendosi se il suo business plan esprime chiaramente l’idea, il mercato e i competitor con cui si confronta, il modo, i tempi e gli investimenti con cui si pensa di affrontare il mercato e, infine, come e quando l’investitore potrà rientrare del proprio investimento. Qui, poiché nessuno nasce imparato, l’imprenditore dovrebbe inserire nel suo budget qualche euro da investire su chi, incubatori o professionisti, potrebbe affiancarlo nella stesura del business plan.

infografica osservatorio startup digitali 2015

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