Equity Crowdfunding. Regolarlo o non regolarlo?

Un lettore di Crowdfunding Buzz analizza gli effetti della regolamentazione sull’efficacia dell’equity crowdfunding in Europa

Data la portata innovativa di questo recente strumento di finanziamento, non è ancora ben chiaro se, per favorire lo sviluppo dell’Equity Crowdfunding, sia più utile introdurre una legislazione apposita o, al contrario, non intervenire per far sì che il mercato si sviluppi da sè.

Due sono gli esempi che mettono in evidenza le conseguenze di entrambi gli approcci.

La regolamentazione dell’Equity Crowdfunding in Europa

Il primo approccio è quello utilizzato a livello europeo. Qui, infatti, non è stata ancora emanata una disciplina che uniformi l’insieme delle regole esistenti e dedicate a questo strumento. Una delle conseguenze ti tale mancanza di uniformità è la piena applicazione della Direttiva Prospetti  con le conseguenti le limitazioni territoriali che ne derivano.

La Direttiva, infatti, prevede una soglia di esenzione dalla presentazione di un prospetto informativo, avente efficacia cross-border, solamente di €100,000, lasciando ad ogni Stato Membro la facoltà di innalzare a proprio piacimento questa soglia fino ad un massimo di €5 mln. L’effetto, come si potrà facilmente immaginare, è un determinazione assolutamente discrezionale di questa soglia, con la diretta conseguenza che mentre, poniamo il caso, un emittente Italiano può tranquillamente rivolgere la propria offerta di €4 mln in Inghilterra (dove la soglia è stata innalzata fino al massimo previsto), non potrà invece compiere tale operazione nei confronti di cittadini tedeschi o francesi dove, esercitando la facoltà della Direttiva, sono state stabilite delle soglie di molto inferiori a quelle stabilite in Italia ed in Inghilterra. In questo caso, alla nostra impresa italiana verrebbe richiesta la pubblicazione di un intero (e costosissimo) prospetto informativo per poter offrire le proprie azioni in questi Stati.

La regolamentazione italiana

In altri casi è invece l’eccesso di regolamentazione che costituisce una pesante limitazione allo sviluppo dell’Equity Crowdfunding. Un tipico esempio può ravvisarsi nella situazione italiana. L’Italia è stato il primo stato europeo ad emanare una regolamentazione esclusivamente dedicata all’Equity Crowdfunding. Sotto molti aspetti le regole ivi vigenti sono molto simili a quelle presenti in Inghilterra.  Sia in Italia che in Inghilterra troviamo un buon sistema di agevolazioni fiscali per chi investe in questo strumento, la massima esenzione prevista dalla Direttiva Prospetti e un meccanismo di autocertificazione dell’investitore, tramite il quale entrambi gli Stati non pongono limiti nella somma che questi può investire.

Come spiegare allora i risultati almeno 50 volte maggiori raggiunti dall’Inghilterra rispetto all’Italia? Oltre a sintomatiche ragioni dovute al diverso sviluppo dei mercati regolamentati nei diversi paesi, che comunque non giustifica da solo tali differenze – visti i discreti risultati raggiunti da paesi con “tradizioni di investimento” affini quali Germania e Francia – la “colpa” è a mio avviso da attribuire ad un eccesso di regolamentazione. La disciplina in Italia è “opprimente”, nel senso che vengono adottate misure estremamente limitanti. Infatti, unico regolamento al mondo, quello italiano prevede che l’utilizzo dell’equity crowdfunding non è aperto a chiunque, bensì solo ad imprese che presentino caratteristiche di innovatività (quando, peraltro, il nostro paese è apprezzato per esempio più per la sue tradizioni culinarie che per le sue innovazioni tecnologiche). Inoltre, impone che,  affinchè una campagna possa essere chiusa, alcuni soggetti (investitori professionali e simili) sono obbligati ad investire.

Di fronte a simili limiti, la differenza con l’Inghilterra non può sicuramente essere spiegata solo in termini di differenti “tradizioni”. Tanto è vero che, ove possibile, (quasi sentendosi la coda di paglia) tramite legislazione secondaria, le istituzioni competenti, prime fra tutte la Consob, dietro pressioni delle sagge associazioni di categoria, si stanno muovendo per ampliare sempre di più i fori della rete purtroppo imposti da legislazione primaria.

Lasciamo che l’Equity Crowdfunding muova da solo i primi passi

Come si vede, sembra che ad oggi non esista ancora una formula perfetta, ma che ogni mossa porti comunque degli svantaggi. Resta però sempre vero che, quando si ha a che fare con strumenti così innovativi e “recenti”, sarebbe forse meglio aspettare che questi inizino a muovere i primi passi da soli, ed al massimo intervenire porgendo loro una piccola mano per aiutarli a rialzarsi quando cadono, piuttosto che intervenire troppo obbligandoli a farli muovere solo grazie ad una carrozzina.

Salvatore L. Furnari

Laureato in Giurisprudenza con speciale menzione per la tesi dal titolo "Equity-Based Crowdfunding: The Issuer's Perspective", attualmente svolge la pratica forense presso un importante studio legale internazionale e continua ad approfondire i propri studi sul Crowdfunding.

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