Sviluppo economico in Italia: notai, burocrazia, corporazioni e altre malattie endemiche

Lo sviluppo economico in Italia dovrebbe far leva sulla finanza alternativa e sulle imprese ad alto potenziale. Ma è tutto molto lento. Solo colpa dei politici o anche dell’indole degli italiani?

 

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L’Italia è un paese latino. Chi ci nasce riceve spesso il dono del sapersi arrangiare e, come corollario, quello della creatività, cioè la capacità di inventarsi soluzioni ingegnose per saltare o aggirare gli ostacoli. Questo ha fatto degli italiani – popolo latino per eccellenza – i leader del design e della moda ma anche del “saper vivere”, della meccanica di precisione, della robotica e di molte altre “cose difficili da fare”.

Il contraltare è che gli Italiani sono individualisti per cultura atavica e hanno dunque sacro timore di furbi e furbetti (cioè di un estremo di loro stessi). Per questo, sono anche diventati leader nella burocrazia e nel corporativismo. E’ un loop contro il quale anche i legislatori più illuminati si sono spesso scontrati e si continuano a scontrare.

Laddove si parla di nuove forme per il sostegno allo sviluppo economico, questo contrasto balza drammaticamente agi occhi.

L’ultimo caso è quello delle startup innovative e dei notai. In breve: lo scorso 21 luglio è entrato in vigore un DL che consente a chi vuole aprire una Srl, con i requisiti di startup innovativa, di farlo online adottando un atto costitutivo e uno statuto standard (molto articolati e con diverse opzioni di scelta) e concludendo l’operazione con la semplice apposizione di una firma digitale. Grande mossa, bravo governo, finalmente!

Questo, infatti, taglia fuori i notai, la cui consulenza obbligatoria costa al neo-imprenditore, spesso e bene, dai €2000 in su. Dunque, per capirci, più o meno il 20% del budget iniziale in dotazione che corrisponde al valore di una discreta campagna su Google o FB oppure di uno o due mesi di un programmatore amico.

I notai naturalmente, toccati nel vivo dei loro privilegi, hanno fatto ricorso al TAR. Bloccando tutto. Lascio al lettore valutare le loro (opinabili) ragioni leggendo questo bell’articolo di Startup Business o quest’altro di EconomyUp.

Ma non è il primo né l’ultimo caso in cui burocrazia o corporativismo bloccano forme innovative di sostegno allo sviluppo economico. In particolare se facciamo riferimento alla finanza alternativa.

Abbiamo più volte sottolineato, in passato, l’inadeguatezza della versione iniziale del regolamento Consob per l’equity crowdfunding, poi per fortuna corretto quest’anno da Consob stessa. Ma, sempre relativamente all’equity crowdfunding, abbiamo anche sottolineato, più recentemente, le restrizioni della legge primaria che consente l’accesso a questa forma di finanziamento alle sole startup e le PMI innovative. Unico paese al mondo! Negli altri, ma proprio tutti gli altri in Europa, Asia, Usa, America del Sud, non è lo Stato (burocrazia) a decidere chi può essere finanziato, ma, udite udite, il mercato.

Questo “mercato” a noi Italiani evidentemente non piace. A noi non piace decidere liberamente dove investire i nostri soldi, preferiamo che a indicarci la strada sia babbo Stato, o altri babbi, che dall’alto della loro saggezza sanno bene come proteggerci da furbi e furbetti. Peccato che, invece, non riescano a proteggerci dai furboni di grandi dimensioni, vedi le ultime vicende bancarie.

Ma il popolo italiano non ama il mercato e preferisce che tutto continui ad essere ben calato e controllato dall’alto, che tutto continui ad essere assolutamente ben controllato da regole precise e dettagliate, che tutto continui a rimanere governato dai gruppi di interesse (notai, banche, sindacati, giornalisti, avvocati, commercialisti, tassisti, allevatori…) che nel deprecato ventennio si chiamavano “corporazioni” e che ora raccontano di agire sempre per il bene di tutti. E gli Italiani continuano a berla, forse perché, in fondo, la maggioranza ne fa parte.

E che devono fare i politici? In fondo il loro mestiere è farsi votare e se la maggioranza degli Italiani non vuole il mercato, giustamente, essi non glielo danno.

Noi invece siamo convinti che una parte piccola a piacere dei soldi buttati per salvarle i “sistemi” potrebbero essere utilizzati per finanziare la crescita dei modelli di finanza alternativa, incoraggiando da un lato operatori finanziari che sono ora “fuori dal sistema” e dall’altro la parte creativa e dinamica dell’italianità, a beneficio, questa volta sì, di tutti:

  1. Aumentare il beneficio fiscale per chi investe in nuove imprese ad alto potenziale di crescita
  2. Favorire il Social Lending, tassando chi presta alle imprese o ai privati tramite le piattaforme non in base al suo scaglione Irpef, come accade ora, ma allo stesso modo di un investimento in obbligazioni o in titoli di stato.

Non siamo né i primi né i soli, per fortuna ad avere questa opinione.

Sul primo punto, l’associazione ItaliaStartup sta da tempo facendo opera di sensibilizzazione e anche lo studio del Politecnico di Milano sul Crowd Investing ne ha rimarcato l’utilità.

Sul secondo, anche qui, lo stesso report del Politecnico milanese sottolinea come la tassazione ordinaria applicata sugli interessi percepiti da chi presta sulle piattaforme di lending crowdfunding, sia il principale ostacolo da rimuovere per lanciare definitivamente una modalità di sostegno all’economia che sta avendo un successo travolgente in tutto il mondo. Tranne che in Italia.

Buona estate a tutti

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