Le PMI italiane che ricorrono al fintech sempre più sensibili alla sostenibilità, un po’ meno all’innovazione

Una ricerca sulle PMI che si sono rivolte a Opyn per finanziarsi, rileva crescenti investimenti sulla sostenibilità, mentre il 60% non ha ancora investito in innovazione digitale

 

 

Il centro studi di Opyn ha rilasciato una ricerca su un campione di 107 PMI che si sono rivolte a Opyn per finanziarsi. Ricordiamo che Opyn è una fintech italiana specializzata nella tecnologia lending as a service, che attraverso i fondi costituiti con banche, asset manager e corporate investe nelle imprese.

Le Pmi oggetto dell’analisi sono per lo più imprese che impiegano tra i 10 e i 50 addetti (45,2%), seguono le microimprese con meno di 10 addetti (43,3%), mentre l’11,5% impiegano tra i 51 e i 100 dipendenti. Anche per quanto riguarda la distribuzione geografica, le aziende sono presenti nella maggior parte nella zona del Nord-Ovest (32,7%), ma anche al Sud e nelle Isole con il 29,8%, mentre il 19,2% si trova al il Centro e il 18,3% al Nord-Est.

La sensibilità crescente delle PMI per la sostenibilità ambientale

Dall’indagine, emerge un quadro abbastanza variegato: le piccole e medie imprese italiane oggetto della survey hanno per la maggior parte a cuore il tema della sostenibilità ambientale e sono generalmente predisposte a investire le proprie risorse e a mettere in campo iniziative e strumenti volti a ridurre l’impatto ambientale sul territorio sia sul breve che sul lungo periodo.

Il 34,7% delle Pmi, infatti, ha dichiarato di aver intrapreso un percorso mentre il 54,5% sta attualmente lavorando attivamente per metterlo a punto. La grande maggioranza delle Pmi che hanno già intrapreso un percorso di sostenibilità dichiara di puntare soprattutto su investimenti che abbiano un impatto in campo ambientale (91%), mentre il 31,4% delle aziende ha attivato piani in ambito sociale e l’11,4% relativi alla governance.

Di contro, però, solamente il 38,1% ha definito dei criteri di sostenibilità da applicare in fase di selezione dei propri fornitori.

La propensione all’innovazione tecnologica non è ancora elevatissima

A livello di innovazione tecnologica, nonostante venga considerata una leva utile a migliorare l’efficienza del proprio business in ottica di crescita ed espansione economica, le risorse in campo per strutturare un’adeguata transizione tecnologica sono ancora scarse ma emerge la volontà di aumentare gli investimenti in questo campo.

Le Pmi italiane iniziano infatti ad essere interessate a investimenti nel digitale ma si trovano in un terreno poco conosciuto. Infatti, se il 59,2% delle aziende dichiara di non aver ancora investito in progetti innovativi legati al digitale, il 21,3% di queste afferma però che la ragione sia che “non sa da dove iniziare”.

Resta comunque importante la percentuale di imprese (40,8%) che invece hanno realizzato progetti innovativi legati al digitale negli ultimi 12 mesi (come ad esempio CRM, automazione di macchinari, adozione del cloud, embedded finance, machine learning, etc).

Sul totale degli investimenti fatti nell’anno, il 34,2% di queste Pmi ha dedicato al digitale oltre il 30%, il 26,8% una quota variabile dall’11 al 30% e il 39% delle aziende ha impiegato dall’1 al 10% delle risorse.

Parità di genere: ancora molta strada da fare

Per quanto riguarda la parità di genere e le iniziative volte a ridurre il cosiddetto “gender gap” all’interno delle aziende, le sfide appaiono invece più difficili: se da un lato le donne sembrano incontrare minori difficoltà rispetto al passato nell’accesso al lavoro, dall’altro lato appare evidente la sotto rappresentazione del genere femminile per quanto riguarda le posizioni direttive e apicali.

Nel 26,8% dei casi il personale complessivo dell’impresa è composto per oltre il 50% da donne e nel 18,6% dei casi la popolazione femminile si attesta tra il 31% e il 50%.

Tuttavia, analizzando la composizione dei Cda, della dirigenza apicale e della proprietà delle aziende: solo il 14,6% delle imprese che hanno risposto alla survey dichiara di avere un CdA composto da donne per oltre il 50% e un altro 15,7% risulta avere tra il 31% e il 50% dei componenti del consiglio di sesso femminile. Il 60,7% delle aziende, invece, dichiara di non aver alcuna donna all’interno del proprio Cda

Da questo punto di vista, quindi, le iniziative per la riduzione del divario di genere all’interno dei consigli di amministrazione e a livello di possibilità di carriera sono da considerare una sfida prioritaria per il tessuto imprenditoriale italiano.

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