Quando la burocrazia è più forte del merito della legge e danneggia startup e PMI italiane

Una legge approvata nel 2017 facilita l’investimento di stranieri nelle startup italiane, ma alcune Camere di Commercio non la applicano. Un problema per l’equity crowdfunding

 

Burocrazia delle CamCom blocca investimenti stranieri in PMI italiane

 

Lo scorso anno abbiamo tutti salutato con entusiasmo una norma presente nella legge di stabilità 2018 che consente, finalmente, alle persone fisiche e giuridiche straniere di investire in società italiane senza la necessità di richiedere un codice fiscale italiano. Cosa non certo facile per chiunque, ma soprattutto per uno straniero.

Una norma che può essere rilevante soprattutto se ci riferiamo a stranieri che vogliono investire in PMI italiane attraverso l’equity crowdfunding, investitori che, dunque, si aspettano di poterlo fare con pochi click e senza tortuosi percorsi burocratici.

Una norma, inoltre, che parifica le opportunità delle PMI italiane a quelle di altri Paesi, nei quali anche un Italiano può tranquillamente investire senza tema di doversi districare tra le maglie della burocrazia locale.

Molto intelligentemente, il comma 45 della legge di stabilità 2018 ha stabilito che per le transazioni finanziarie a favore di soggetti non residenti, non è più obbligatorio il codice fiscale ma basta indicare solo: a) per le persone fisiche, il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita, il sesso e il domicilio fiscale; b) per i soggetti diversi dalle persone fisiche, la denominazione, la ragione sociale o la ditta, il domicilio fiscale (nell’indicazione della sede e del domicilio fiscale devono essere specificati la via, il numero civico e il codice di avviamento postale).

Ebbene, le piattaforme di equity crowdfunding ci hanno segnalato che, in seguito al successo di alcune campagne, al momento della registrazione dei nuovi soci, alcune camere di commercio si sono rifiutate di registrare gli investitori stranieri che avevano sottoscritto l’aumento di capitale perché non avevano indicato il codice fiscale.

Una barzelletta? No, verità. La ragione, ad onor del vero, sembra essere che la norma non sia chiarissima e che non esiste una disposizione regolamentare o una circolare del MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) che spieghi alle Camere di Commercio che cosa devono fare e come. Sembra anche che, conseguentemente, le CamCom non abbiano aggiornato il loro software.

Se la spiegazione fornita è vera, forse, l’unica soluzione è che il MISE si pronunci formalmente presso tutte le Camere di Commercio, facendo prevalere le ragioni del merito di una legge approvata dal parlamento: facilitare l’ingresso in Italia di capitale “freschi” per finanziare l’economia reale.

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